Un temporale estivo scema in pioggerella, quando giungiamo a Camandona, ad una altitudine di 790 metri, nella Valle di Mosso. A stringerci la mano è Ilario Guelpa Piazza, erede di una straordinaria bottega di famiglia, di fabbri, i cosiddetti “tinivlin dal mut”, i succhielli del muto.
Attraversiamo un cortile ordinato alla maniera di una volta, fra cataste di legna pronte per l’inverno, ed entriamo nella storia.
«Tutto parte dalla materia prima, il filo d’acciaio, per arrivare al prodotto finito, i succhielli, i chiodi e altri attrezzi – spiega Ilario, dando le spalle alla carbonaia ancora ben rifornita, con legno di nocciolo, che sviluppa un alto potere calorifico, legname proveniente dalla vicina zona di Carcheggio -. Nella bottega abbiamo tutto ciò che occorreva per realizzare attrezzi soltanto con l’abile manualità. Niente elettricità e nessun macchinario. Si prendeva il filo d’acciaio da un rotolo di 10/15 metri, acquistato nella zona di Brescia, in cui c’erano le acciaierie, di diametro diverso a seconda del prodotto che si voleva ottenere, dai succhielli più piccoli alle tinivelle belle grosse. Il filo veniva tagliato della lunghezza idonea a fare il succhiello. Si scaldavano le due punte, le lance, sulla forgia con carbone ardente, e le si batteva con il martello sull’incudine, per dare la forma. Una lancia andava infilata nel manico in legno, mentre l’altra, scaldandola ancora, ne definiva il verme. Era il momento in cui si vedeva l’abilità manuale, che creava la caratteristica forma elicoidale del succhiello, affinché potesse poi scavare nel legno. Era un’operazione combinata fra i movimenti di battitura e di torsione, che terminava a seconda del colore dell’acciaio infuocato, dal rosso al bordeaux. Definito il punto di tempra esatto, avveniva l’immersione nell’acqua fredda nella piccola vasca in pietra, posizionata accanto alla forgia. L’abilità nel dare la forma e la tempra determinava la resistenza del succhiello quando veniva sottoposto a sforzo. La lavorazione si concludeva pinzando il succhiello nella morsa per limare e affilare le alette, le lance, e creare il filo giusto. Con la mano sinistra si ruotava la barretta di acciaio e con la mano destra si batteva con un piccolo martello fino a formare la spirale del succhiello. Io ad esempio, non avrei potuto fare tinivlin, perché sono mancino e la forma sarebbe venuta al contrario».
Attingendo agli appunti di Ilario, leggiamo: “I manici per i succhielli medi/piccoli venivano perlopiù acquistati in Valsesia, dalle storiche tornerie di Cottura Renato di Eustorgio e dalla Torneria Artigiana del Legno, entrambe di Campertogno. Per i succhielli più grandi, le tinivelle, i manici venivano sagomati a mano in loco, da legno locale. A completare il succhiello, per proteggere il verme durante l'assemblaggio e la spedizione, si tagliavano dei pezzetti di tronco di sambuco da 1,5/3 centimetri a seconda della sezione del tinivlin, da avvitare provvisoriamente attorno alla spirale. Questo legno era scelto, poiché morbido e pressoché vuoto all'interno”.
«I miei vecchi – racconta ancora - producevano anche le trappole per le talpe. Tagliando l’erba con la falce, i mucchietti di terra prodotti dall’animale davano fastidio. Da lì la necessità di cacciarle. Costruivano poi chiodi, porta grondaie e attrezzi agricoli, come il tridente, il sapin, una piccola zappa, e i ferma tronchi».
La bottega conserva l’aspetto originale, salvo piccoli ritocchi conservativi al pavimento in legno e in selciato. Ogni tanto poi, Ilario toglie le ragnatele. Adiacente al laboratorio ci sono ancora il pollaio e la caminà con la gra, la casupola che accoglie il graticcio sul quale si facevano seccare le castagne, di cui Ilario ribadisce essere geloso custode della tradizione.
«La fondazione ufficiale della ditta, pluripremiata negli anni delle manifestazioni di artigianato, risale al 1780 – conclude Ilario Guelpa Piazza -. Sorgeva a un centinaio di metri dall’attuale sede, nel ricettacolo di borgata Piazza, in cui venivano ospitate le genti che dalla pianura salivano in montagna. Fu attorno al 1820 che Giovanni Battista Guelpa (1799-1858), detto il “mut”, probabilmente sordomuto dalla nascita, dette il maggiore impulso all'attività. La data ufficiale di fondazione, riportata su attestati e riconoscimenti, e sede attuale, resta comunque il 1848. Dopo il “mut”, si dedicarono tre generazioni di Guelpa Piazza: Gio Batta (1843-1923), Gio Batta “Batistin” (1875-1944) e Franco Germano (1913-2000), mio papà, che chiuse l’attività negli anni Settanta, per mancanza di richieste, essendo subentrato l’uso del trapano. I “tinivlin dal mut” sono stati apprezzati in tutto il mondo; ad inizio 1900 notevoli partite venivano spedite in Sudafrica, Egitto, Stati Uniti, Canada e nella vicina Savoia».
Dell’attività ne scrisse la “Gazzetta del Popolo” del 16 settembre 1958: “Camandona vanta un’originale attività artigianale che merita di essere segnalata al pubblico, perché risale al principio del secolo XVIII° e che resiste tuttora, malgrado la concorrenza della moderna industria. L'artigiano in parola, che segue una nobile tradizione famigliare, è Germano Guelpa Piazza. Abita nella borgata Piazza e i prodotti del suo laboratorio sono succhielli e trivelli di acciaio con punta elicoidale, usati da falegnami, ebanisti e da chi lavora il legno. Sono fatti esclusivamente a mano, senza l'impiego di macchine, ma col semplice ausilio della forgia, del martello e della lima. La bottega del Guelpa è forse l'ultima del genere esistente in Piemonte. Tutte le altre, sopraffatte dalla concorrenza della lavorazione in serie, hanno dovuto deporre le armi e sospendere ogni attività, anche se i trivelli eseguiti a mano sono superiori a quelli fatti in serie. La produzione di trivelli del Guelpa va da quelli di appena 2 mm di diametro a quelli di 40 mm”.
Anna Arietti
Coloro che volessero copiare l'immagine o il testo sono pregati di citare la fonte, me, e il blog baffidigatto.com. Grazie.
Ringrazio la redazione de "La Provincia di Biella.it" per aver pubblicato il testo nelle pagine de "La gerla dal Biéléis" del 12 luglio 2025, in particolare Sabina Pastorello.


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