domenica 28 aprile 2024

Piedras y magia del alma #poesia #FreiburgerMünster



15 Aprile 2024, Münster a Freiburg

Mi vida está llena 
de piedras
- entre el azul 
de las flores
y el blanco cristal 
de las olas
ricas de fuerza y belleza
sigue llevando sus piedras,
debajo de alfombras 
tejidas
con hilos de oro y de seda,
asì que aprienda mi alma
la magia 
que todas transforma
las horas de muerte 
en amor.
(Texto e imágenes 
de Enea Grosso)


Gracias a la profesora de español Alessandra Ottina por leer atentamente este                   pequeño poema antes de su publicación. el domingo por la mañana. 

Estas palabras llegaron en español. 
No puedo decir por qué, pero intento ahondar en el funcionamiento de la mente .... La noche anterior, tras asistir a la presentación del volumen de sonetos de Anna Raviglione "El vagón blanco", seguí una emisión en directo desde Argentina sobre Alejandro Magno y el antiguo Egipto, en español sudamericano. Supongo, por tanto, que las vibraciones españolas y poéticas se fundieron en una sola a la mañana siguiente, a la hora del desayuno. 


15 Aprile 2024, nella Münster  a Freiburg


My life is full of stones
- among the blue 
of the flowers
and the white crystal 
of  waves
so rich in strength 
and beauty
it goes on carrying 
its stones,
hidden in carpets 
woven
with threads 
of silk and gold
so that   my soul
may learn the magic 
that can transform
the hours of death 
into love.
(Text and images 
by Enea Grosso)

Münster a Freiburg in Breisgrau


La mia vita è piena di pietre
- tra il chiaro azzurro dei fiori
e il bianco cristallo dei mari
ricchi di forza e bellezza
sempre ogni giorno una pietra
sotto a tappeti tessuti
con fili d'oro e di seta
così che l'anima apprenda 
l'antica magia che trasforma
le ore di morte in amore.
(Testo, traduzione e immagini 
di Enea Grosso)


Mein Leben ist voll von Steinen
- zwischen dem Blau der Blumen
und dem weißen Kristall der Wellen, 
die so  reich an Kraft und Schönheit
immer sind - 
mein Leben trägt weiter 
seine Steine,
unter Teppichen 
mit Fäden aus Gold und Seide
gewebt
so lerne meine Seele
den Zauber 
der die Stunden des Todes  
in Liebe verwandelt.
(Text und Bilder 
von Enea Grosso)


Ma vie est pleine de 
de pierres
- parmi les bleus 
des fleurs
et le cristal blanc 
des vagues
riche en force et en beauté
ma vie continue à porter 
ses pierres,
sous des tapis 
tissés
avec des fils d'or et de soie,
Apprends donc, mon âme
la magie que  transforme
les heures de la mort 
en amour.
(Texte et images 
par Enea Grosso)


A Gengenbach

La versione originale della poesia è arrivata in spagnolo.
Sarà forse perché la sera prima, dopo essere stata alla presentazione della silloge di Anna Raviglione (sonetti e versi liberi) "Il Vagone Bianco", ho seguito una diretta dall'Argentina sull'antico Egitto e Alessandro Magno, e all'ora di colazione le due vibrazioni si sono unite in queste parole.

Ringrazio Alessandra Ottina - appassionata docente di spagnolo - per aver letto e controllato la poesia. 
Nella traduzione in italiano ho cambiato alcune parole per rendere più musicale l'insieme.
Ho tradotto in inglese e in tedesco a partire dalla versione originale spagnola.
La versione in tedesco mi ha dato, come quasi sempre accade, qualche problema in più rispetto alle altre lingue, perché trovo difficile adattare la rigida grammatica tedesca al linguaggio in versi: per evitare errori troppo evidenti, spesso risolvo abbandonando la leggerezza del verso e traducendo come se fosse prosa. 
Il mio francese ha ancora enormi spazi di miglioramento ... ma aiutandomi coi traduttori per le parole e procedendo un pezzetto alla volta, ottengo un risultato accettabile grazie alla struttura della lingua più simile alla nostra e allo spagnolo. 

Ho scelto immagini della cattedrale di Freiburg (Germania meridionale) perché per me è un posto speciale legato a bellissimi ricordi. 




The original version of the poem came in Spanish.
It may be because the night before, after being at the presentation of Anna Raviglione's sylloge (sonnets and free verse) "The White Wagon," I watched a live broadcast from Argentina about ancient Egypt and Alexander the Great, and at breakfast time the two vibes came together in these words.

I thank Alessandra Ottina - a passionate Spanish teacher - for reading and checking the poem. 
In the Italian translation I changed some words to make the whole more musical.
I translated into English and German from the original Spanish version.
The German version gave me, as it almost always does, a few more problems than the other languages, because I find it difficult to adapt the rigid German grammar to the language in verse: to avoid too obvious errors, I often solve by abandoning the lightness of the verse and translating as if it were prose. 
My French still has huge room for improvement ... but by helping myself with translators for words and proceeding a little piece at a time, I get an acceptable result due to the structure of the language being more similar to Italian and Spanish. 

I chose images of the cathedral in Freiburg (southern Germany) because for me it is a special place linked to beautiful memories. 









Dipende dall'erba

 

Dipende dall’erba, se ce n’è abbastanza per sfamare le vacche, la vita di Valter Croso, margaro per eccellenza. È sceso a valle, “disalpà” come dice lui, due settimane fa. Dall’Alpe Campelli in Val Sessera, Campello sulle mappe, è tornato a Brusnengo, da dove era partito a maggio. Potrebbe rimanerci un mese, ma durante l’estate ha piovuto poco. Probabilmente dovrà spostarsi con la mandria su altri pascoli, a Castelletto Cervo, alla volta poi di Camburzano, dove trascorrerà l’inverno in cascina.

«Mangiano erba fresca, altrimenti fieno. Mangimi mai. Sono anche le vacche che vogliono spostarsi, quando sentono che la stagione cambia. Questo è un lavoro, ma anche una passione, sennò ’t’lu fè nèn’, non lo fai - racconta -. Non ci sono feste. Da quando poi mio figlio ha preso la patente, neanche più mi viene in mente di andare via. Sto bene. Adesso le casére sono tutte nuove; una volta pioveva dentro, i tetti erano di rami di faggio. La mia vita trascorre così, dall’Alpe alla Montuccia; prima con me père, adesso con mio figlio Lauro. Contiamo sei, sette generazioni, da lui, a me, mio padre Eligio, il nonno Daniele, il bisnonno Antonio e ancùra andaré man vis gni l’nom, ancora indietro non mi ricordo il nome».

Valter Croso è nato a Camandona nel 1951. La moglie Miriam è originaria della Costa Rica. Hanno avuto tre figli, Lauro, Isabel e Jennifer. «La Miriam ha diciotto anni meno di me - il pensiero di lei lo fa sorridere -. A quattordici anni mi sono trasferito a Gaglianico, poi a Occhieppo Inferiore, a Borriana e infine a Camburzano. A giugno ho festeggiato i cinquant’anni di attività, ma se sommo un periodo trascorso altrove, ne conto anche cinquantacinque. Il contratto di acquisto della prima cascina l’ho definito in cinque minuti, come ho fatto con la fumna, con la donna - scherza, o forse no -. L’ho tenuta sette anni soltanto quella cascina. Dell’affare mi ero subito pentito e avevo pianto - e gli occhi lucidi gli vengono ancora adesso -. Mia moglie non voleva che la vendessi, salvo che ne prendessi un’altra. Così, di nuovo in cinque minuti, nel 2003, l’ho data via e a Camburzano, nel 2004, ho fatto la casa e la stalla, nuove. Son fora ad testa’ - sono fuori di testa -».

Al pascolo con Valter c’è l’amico di una vita, Dino Grosso, 84 anni, di Masserano. Sono stati all’Alpe insieme, Campelli di Sotto in primavera e Campelli di Sopra in estate, per diversi anni, fino al 1957. Dino aveva iniziato ai due casére nel 1937 con suo padre Richin e con Erminio Cavagna, poi con Francesco Guelpa Piazza, ma ien tucc mort - sono tutti morti -. «Aveva incontrato Eligio, mio padre, nel ’54; c’era anche l’Eugenio Seletto, poi sono arrivato io - prosegue Valter -. Ne aveva 26 di anni, quando Dino ha venduto le vacche ed è andato a lavorare nel tessile, però mi ha sempre aiutato».

La memoria vaga fra i ricordi, i due discutono sulla vendita degli animali, citandoli sempre per nome e ricordano le persone a cui li avevano ceduti. «Te la ricordi la Vespa, quella rossa con la ghigna - la faccia - bianca? e c’era il mulo Febo e il cane Bill - rievoca Valter -. Gli anni passano anche per me; certe volte non mi ricordo più dove son tachè - dove le metto -». Dino spiega che per riportare all’ordine le "mucche" era sufficiente fare due fischi. «Già sapevano che di lì a poco sarebbe arrivato il cane. Addirittura era sufficiente scuotergli la campanella che loro già si allarmavano». 

Intanto si avvicina la Spagna con la Marsiglia, la manzetta, e si contemplano le belle corna. Ogni vacca, o toro, ha un nome. «Se non mi ricordassi i nomi andrei a fare altro - sbotta, un po’ risentito Valter -. Adesso ne ho duecentocinque. Tengo la Bruna Alpina, la pezzata Rossa e, da una quindicina di anni, un incrocio con la Blu Belga».

I margari vogliono un gran bene agli animali, anche se certe volte, a vederli menare il bastone, all’occhio del profano non parrebbe. Checché se ne dica esiste un’intesa speciale che rende difficile il distacco quando vengono ceduti, ma "questa è la vita", dice Valter sollevando le spalle. «Non cambierei mai mestiere. Se tornassi indietro lo rifarei. Me père' quando ero pìccio, diceva che avremmo perso la tradizione. Io rimanevo zitto, ma intanto ho continuato, mentre i miei fratelli e sorelle hanno fatto scelte diverse. Capitava che ritornasse sui suoi pensieri e diceva che sarebbe stato meglio fare un altro lavoro. Erano gli anni Sessanta, giravano le fabbriche, e tanti giovani avevano smesso di badare alle bestie. Io penso che ognuno debba fare quello che si sente».

Fra una parola e l’altra, si avvicina all’abbeveratoio la Bersagliera e Valter fa notare ancora che "l’è bèn curnà", come le altre due nere un po’ più distanti.

Al pascolo di Brusnengo, con il sole, sembra tutto bello, ma il mestiere è duro. «Una volta, in transumanza, con la nebbia, nonostante avessi la torcia, ho rischiato di essere investito da un’auto, non si vedeva gnit. È successo anche di averne persa una per due mesi. Era stata morsa da una vipera. L’ho ritrovata pelle e ossa, ma si è ripresa. Questa estate una vacca è finita nel Sessera e per salvarla momenti muoio io; con quelle pietre rotonde, sono scivolato nell’acqua, ma non era ancora la mia ora. Nuvola invece si è uccisa scivolando in un dirupo. Idem il Gaiòt, il toro, e la Chiara, una mucca di proprietà di mia figlia Isabel; anche lei ha il pallino per gli animali». È accaduto pure che una vacca abbia deciso di tornare a casa da sola; da Campelli era arrivata a Camandona, percorrendo una ventina di chilometri. «Se non l’avessi fermata, sarebbe arrivata a Brusnengo. Le vacche non sono stupide, anzi, iumma da amprende nùi - abbiamo noi da imparare -».

Valter campa vendendo bestie vive. «Di vacche da mungere ne ho poche. Tac a mùnge - inizio a mungere - alle quattro del mattino e alle tre del pomeriggio, a pollice. Altri mungono a granpà, con tutta la mano. Le mucche se ne accorgono se cambi sistema e si muovono. Ognuna mi dà qualche litro di latte, che sono pochi, ma per me sono anche troppi, visto che si consuma soltanto in famiglia. E allora ogni tanto faccio la tometta, sempre per noi. La prima volta che ho munto avevo quattro anni. Mi avevano dato una capra, perché avevano paura che mi facessi male».

Parte poi il discorso “ciocche”, campanacci, e gli occhi di Valter s'illuminano: "Sun ambalinà - ho una vera fissa - soprattutto per le Simon". Spiega che sono numerate da uno a dodici. Le più grosse si utilizzano per la transumanza, le altre per il pascolo. "Ne ho anche marca Chamonix”, intanto con passo pesantuccio si avvicina la Furmìa, una vacca bianca, e forse arriva pure Luigi, Luigi Pezzoli, l’ex veterinario, oggi in pensione. Un altro amico da una vita. « Quando ho festeggiato i cinquant’anni di attività all’alpe, ha fatto lui il cuoco».

Nei paraggi, un po’ in disparte, sonnecchiano una decina di capre e il cane Lippo, dagli occhi azzurri. «L’è al mé mat - mio figlio - che le ha volute». E racconta del lupo che su in montagna gliene ha uccise due e diversi vitelli. «Dicono che di giorno non attacca; non è vero. L’ho visto io. Sono soltanto tre o quattro anni che è tornato, perché l’hanno messo».

Prima di salutare regala pacche sulle spalle. «Sono contento che siate venuti», intanto la Teresa, la manzetta di appena un mese, cerca di succhiargli un dito, come se fosse un biberon, lui la guarda, le sorride e bonariamente l’allontana.

Anna Arietti



Dedico "Dipende dall'erba"
alla memoria
di
Dino Grosso



Tratto da 
"Storie e racconti del nostro Biellese"
- territorio e persone straordinari -
1° volume
edito da Ycp

Il libro si trova da
Mondadori Point
via Mazzini, 77 a Cossato
(da Riccardo e Silvana).
Telefono 015922089.
oppure nelle librerie online

Tutte le fotografie sono di Anna Arietti

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