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martedì 18 luglio 2017

Un'esperienza felice



Ci sono rane disseminate ovunque. Le vedi fare capolino dalla zuccheriera, dalla cima di un tappo. Impegnano addirittura una mensola, dove ne scorgi una collezione. Perché la rana, in un paese circondato dalle risaie qual è Gifflenga, è di casa. Hanno ripreso l’anfibio pure sull’insegna della trattoria, alla Petit Taverne.

Lungo la strada, l’unica, non c’è anima viva. Viene il dubbio di essere arrivati nel giorno di chiusura. Eppure il parcheggio è al completo, per trovare posto devi raggiungere il vicino salone polivalente, che modestamente chiamano Gifflenga Village. Prostrato dalla calura che sale dall’asfalto e dal canto insistente delle cicale, scosti la porta e scopri che sono tutti lì, rintanati al fresco, “ossigenati” dal condizionatore.

In sala i tavoli sono impegnati; una ragazza sorridente ti fa accomodare nella sala bar. Il menu viene citato a memoria, diverse portate. Ordini un’insalata di riso e il buon umore prosegue, perché non è la solita ricetta. Gli ingredienti semplici e indiscutibilmente freschi, pomodorini, mozzarella, tonno e olive taggiasche, la rendono particolare, come la saprebbe fare soltanto la mamma. Lo senti quando qualcuno cucina con amore. E non ti scosti dalla realtà. Ai fornelli c’è Elisabetta Bianco, 55 anni, mentre ai tavoli, la ragazza che aiuta, quella con il sole sulle labbra, è sua figlia, Jessica, e di anni ne ha 28.

“La Petit taverne è nata nove anni fa - racconta Elisabetta, che lascia la cucina non appena il servizio lo consente. Perché in settimana l’andirivieni è quello dei lavoratori con una, due ore di pausa pranzo -. L’idea è venuta per far fronte ad una emergenza. La mia amica Marilena, che ancora viene ad aiutare nel fine settimana, aveva perso il lavoro. Nel tempo l’esperienza si è rivelata felice. Siamo contentissime di aver aperto la trattoria, anche se le spese sono davvero tante”.

Il sabato sera il menu è alla carta, mentre il giorno di riposo cade di domenica.

“Le nostre ricette sono quelle tipiche del territorio. Proponiamo il riso, gli agnolotti fatti in casa, come pure tutti i dolci e poi sì, cuciniamo le rane, fritte. A volte prepariamo l’aperirana, un apericena sfizioso, insolito. In inverno portiamo in tavola la polenta con il baccalà, il fritto misto alla piemontese e la bagna cauda. Ci teniamo ad offrire piatti semplici, fatti con le nostre mani. Capita poi di leggere certe recensioni, on line, come quella sull’insalata russa, in cui dicevano che la verdura era decongelata, che proprio ti fanno rimanere male, sapendo tutto il lavoro che facciamo”.

Il pranzo si concludere con il dolce, il più tradizionale della lista, il bunèt, un budino a base di cacao e amaretti, cotto a bagnomaria. Intanto Elisabetta chiede di poter tornare in cucina. Sgattaiolando via, neppure lei perde il sorriso e questo piace, piace proprio tanto.

testo e fotografie di Anna Arietti 






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