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martedì 28 ottobre 2025

Ritrovarsi con semplicità


Non è niente. O forse è tutto, raccontare del borgo di Camandona, con circa 300 anime residenti a una altitudine media di 800 metri, nella Valle di Mosso. Ci vado spesso, a dire il vero, per camminare nella quiete e, ormai, anche per incontrare amici, che si sono, per così dire, abituati alla mia presenza, tanto che scherzando, dico loro che potrebbero assegnarmi la cittadinanza onoraria.

Bea con la cagnolona Lilla al guinzaglio sono le prime creature belle che incontro. Le vedo passeggiare sempre insieme. La loro è una lunga storia d’amicizia.

È un sabato pomeriggio di fine ottobre e in paese transita la transumanza di Lauro, margaro biellese d’eccellenza, con il suo papà Valter, passando per la Strada dell’Alpe, i cantoni Mino, Cerale e Bianco. Si vocifera che arrivino verso le 17, ma già alle 16 si sentono i campanacci. Anzi, l’impressione è che la mandria sia nelle vicinanze. L’udito non tradisce e alle 16.25 sono a cantone Bianco, la frazione in cui si trova la chiesa parrocchiale “Madre dei Santi Grato e Policarpo”, con il campanile leggermente pendente, e il municipio. Ed è subito motivo di gioia. Le persone si affacciano alle finestre, si presentano sui balconi, alcune scendono in strada. Chi si trova nella bottega di Luca ad acquistare le tome buone, fa una corsetta per non perdersi nulla e me lo ritrovo accanto, sul ciglio della via.

Le vacche lo sentono tempo prima quando è ora di désarpa, me l’aveva spiegato Valter stesso, e allora il giorno della discesa dagli alpeggi, si agitano e quando partono camminano veloci, con un bel passo da bersagliere, almeno fino a quando la stanchezza non si fa sentire, ma ce ne vuole.

Intanto bisogna stare attenti a dove i bovini mettono gli zoccoli, quando sbandano e quando si fanno prendere dall’entusiasmo e si lanciano in atteggiamenti amorosi, perché potrebbero finirci addosso. Fra le persone del luogo e i margari è tutto un salutarsi, stringersi mani e darsi pacche sulle spalle. È il ritrovarsi dopo i mesi estivi trascorsi all’alpe, che risuona di calore e amicizia, anche se al giorno d’oggi non creano più isolamento come un tempo.

Tanto trambusto dura appena pochi minuti e blocca la via, ma di traffico non ce n’è, quindi non è neanche un disagio. Alla fine della colonna ci sono i mezzi di supporto: un trattore, un pick-up o autocarro leggero e appena un’auto di privati. L’unico incomodo, se vogliamo definirlo, sono i ricordini lasciati sull’asfalto, le tortine che tutti cerchiamo, da ingenui, di non calpestare. Impossibile riuscirci. Lo sterco molliccio e fumante si attacca a tutto. E puzza.

Finita la festa, riprendo la via in direzione della chiesa nella quale don Mario celebra la messa. Entro mesta mesta, in imbarazzo per l’ora. Mi sento impresentabile. La funzione è al ringraziamento a Dio, tramite una preghiera comune, a cui i fedeli partecipano con i propri pensieri. Il Don, sbucando da sotto una berrettina grigia in lana che gli sta giusta giusta, è alle prese con un microfono che funziona a fasi alterne. Anche lui ringrazia e ricorda la recente inaugurazione della nuova sede “Pacchi Alimentari - Associazione “Emporio della Solidarietà della Valle di Mosso”. Forse dovrei intervenire anch’io, in paese purtroppo un’attività di ristorazione ha da poco cessato l’attività, ma un’altra è stata appena avviata e penso sia buona cosa per la comunità. Riesco appena a formulare il pensiero, a ordinarlo nella mente, che vengono letti gli avvisi pastorali da una brillante novantenne di Crocemosso, a cui segue: “La messa è finita, andate in pace”.

Sul sagrato attende un tavolino, il Don dopo i saluti fraterni, solleva la tovaglietta che protegge i piatti ricolmi di dolcetti e salatini, preparati da alcune donne, che sanno con piccoli gesti creare unione. Fra queste c’è la mia amica Lucia, sempre pronta a dare una mano al prossimo, a volte anche troppo e prima o poi finirà col cacciarsi nei guai! Le riconosco però di avermi insegnato ad amare il suo borgo come se fosse il mio. Accanto alle leccornìe ci sono una bottiglia d’acqua della vicina fontana e un thermos di tè caldo preparato a Vallemosso, come fa sapere il parroco, e che quindi penso sia stato portato da lui stesso. Si chiacchiera, mentre il Don si apparta per togliere l’abito talare di un bel verde luminoso, la veste ecclesiastica che gli dona un tono distinto, per poi unirsi di nuovo a noi. Scherza, e come mi dicono, racconta barzellette, facendo ridere di gusto. Io questo siparietto purtroppo lo perdo e mi spiace non poco. Sono di nuovo sulla via, il sole tramonta e l’aria rinfresca. Scorgo però una luce che mi riscalda. Appartiene al nuovo locale, dal quale proviene un vociare di uomini, gli stessi che dalla bottega di generi alimentari di prima, si spostano in blocco alla pizzeria, in cui finisco anch’io. È uno spazio approssimato, da ultimare nei dettagli, ma i tavoli sono tutti impegnati per la felicità di Martina, la titolare, e di Margherita, che le dà una mano, saltando qui e là come una cavalletta, per stare appresso alle richieste dei convenuti. Sono due donne che conosco soltanto oggi e mi fanno davvero una bella impressione. Volitive e sorridenti al punto giusto.

La giornata si conclude con una risata, scatenata dalla scatola della pizza scordata sul tetto dell’automobile, che al primo tornante vola via, facendomi fermare per raccoglierla. 

Tanta è la semplicità che vivo nel piccolo borgo, da far stringere il cuore. Nei paesi, come sempre, tutti si conoscono e sanno tutto di tutti. Non si può sfuggire e ciò porta talvolta a prendere decisioni assurde, del genere “se viene lui, mi vèn nèn”, come all’asilo infantile. Nel sottobosco prolificano versioni contrastanti su tanti aspetti della vita sociale e spesso privata. Lo so, ormai sono abbastanza dentro la comunità, ma visto da me, con gli occhi di chi osserva senza dover necessariamente prendere una posizione, è bello così. Sorrido. Perché se è vero che sarebbe buona norma rivedersi, scendere a compromessi, per amarsi un po’ di più, ciò non è umanamente possibile. Nel mondo della dualità, in cui coesistono buono e cattivo, bisogna accettare lo stato delle cose così com'è, vale per la nostra crescita umana e spirituale. Ed io sono estremamente felice di poter raccontare tutto ciò.

Anna Arietti
Testo e immagini

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