martedì 24 settembre 2019

Corpo stanco


Di fronte alla fila dei carrelli della spesa procede un gruppo di persone. Un uomo in particolare sembra fissare il punto in cui inserirà la moneta per sganciarne uno. L'attesa deve essergli greve; si affida al bastone. Io sono alle sue spalle, sento il respiro corto.

martedì 17 settembre 2019

Il cane al guinzaglio, l'educazione diventa cultura



Se il cane entra sempre più nelle nostre vite con orgoglio e rispetto, non di meno dovremmo pensare a lui quando lo lasciamo libero. Senza guinzaglio. Perché se ne incontriamo di trulli trulli, ci può essere anche quello che gli gira male e ci mostra i denti. Digrigna. Come dobbiamo comportarci?

Seminario estivo in Giappone



Qui di seguito vi proponiamo un articolo scritto per la rivista "Inner Trip" dell'associazione culturale internazionale di ispirazione buddista Reiyukai (rei,anima, spirito, yu, amico, amicizia, kai, associazione, da cui "associazione per l'amicizia spirituale"). Grazie alla Signora Teiko Goto, direttrice dell'ufficio di Milano, Anna Arietti ed io abbiamo avuto l'opportunità di partecipare ad una settimana di seminari (su temi quali come migliorare se stessi, la propria vita familiare, il  proprio ambiente di lavoro) nella sede centrale di Tokyo e nel centro congressi Mirokusan, a tre ore circa dalla capitale. 
Quanto segue è un resoconto di impressioni dopo questa immersione totale nella cultura giapponese e nello spirito dell'associazione così come è vissuto e sentito nel suo luogo di origine. 
Il Reiyukai fu fondato a Tokyo dal Signor  Kubo Kakutaro (1892-1944) e dalla Signora  Kimi Kotani (1901-1971) per aiutare la gente a riprendersi dal  grande terremoto del 1923 e dalla crisi economica e morale che ne seguì. Il testo alla base della filosofia dell'associazione è il Sutra Blu, una scelta di brani tratti dal Sutra Triplo del Loto. 


Ragazze in kimono al Kaminarimon


Il breve periodo trascorso in Giappone con Teiko e Anna (compagna di viaggio perfetta e  membro del Reiyukai da un anno e mezzo circa) è stato un pellegrinaggio, un momento  d’importante introspezione, una ricerca quotidiana di frammenti di luce tra i cassetti dell’anima intasati di polveri vecchie, residui di un passato da ripulire per il proprio bene e quello dei propri cari e dei propri antenati.
E’ stato cosi dalla vigilia della partenza e in ogni attimo.
A rendere l’esperienza così intensa ha contribuito un elemento per me assolutamente  insolito: la condizione di malattia.
Adoro viaggiare, e fino a quest’estate ero sempre partita con una valigia piena di abiti colorati, un libro, salute pressoché perfetta e tanta energia. Non potevo immaginare che avrei affrontato un volo di 12 ore e una settimana di programma intenso senza essere al meglio di me, piegandomi docile alle esigenze del corpo/mente. Guardando indietro mi domando come   questa esperienza abbia fatto  ad essere, nonostante tutto, così bella. Ripenso a quando mi alzavo la notte ed andavo a camminare fuori dalla stanza e mi sdraiavo sui divanetti soffici del corridoio con le luci sempre accese, per non disturbare Teiko e Anna; e ridevo tra  me e me, pensando:”E se ci sono delle telecamere?! Penseranno che Teiko si è portata gente ben strana, dall’Italia!”. Cosa che avranno sicuramente pensato quando il portiere  (sospettando  forse un nostro tentativo di fuga?) ha telefonato a Teiko in camera, avendoci viste girovagare in cortile in ciabatte,  pigiama e accappatoio alla ricerca disperata delle docce, alle 10 di sera: ( Devo dire che le docce erano nascoste davvero bene e in un posto originale:  tre piani più in basso, nello scantinato accanto alla mensa … Anche i giapponesi sono fantasiosi quasi quanto gli italiani, se vogliono! Ce l’abbiamo fatta solo con l’aiuto di una gentilissima nuova amica del sesto Shibu, Naoko, che ancora ringrazio – la doccia, dopo 12 ore di volo e una giornata piena, è una calda  carezza degli dei).


L'imponente Shakaden

E’ probabile che, fin dall’esordio di questo viaggio, il Budda Mayatraya, dall’alto della montagna, abbia lanciato una sottilissima corda di luce per tenermi in piedi e permettermi di arrivare fin lassù; o che a farlo sia stato  il minuscolo budda in nuce dentro di me. In ogni caso, lungo tutto il percorso c’è stata un’invisibile fune d’oro a guidarmi, a guidarci.
All’arrivo a Narita ecco ad aspettarci Teiko e l’impeccabile Kakuta San, nostro perfetto e paziente angelo custode per tutto il tempo.  Sembra incredibile: sono di nuovo a Tokyo, dopo un anno.


La Tokyo Tower vista dal 52mo piano di Roppongi Hills (foto di Anna Arietti)
Sapevo che non sarebbe stato possibile alloggiare presso la Gazembo House (legata a ricordi bellissimi con Serena e Lorenzo l’estate scorsa)…ma non pensavo che fosse stata distrutta! Al suo posto, e al posto di tanti edifici attigui, un grande cantiere in previsione del 2020: anno delle Olimpiadi e dei 100 anni del Reiyukai.  Veniamo ospitate nella sede centrale, all’ombra dello Shakaden. Le stanze sono tutte in stile giapponese: si dorme sul tatami, non ci sono armadi per gli abiti, c’è un’unica stanza da bagno comune al pianterreno (aperta solo la sera e la notte), c’è un orario di rientro serale da rispettare, non c’è un luogo in cui cucinare come nella Gazembo House – struttura semplice che però concedeva assoluta indipendenza.
Tokyo in fermento in previsione dei Giochi Olimpici del 2020
Dopo un lungo viaggio accompagnato da malessere fisico (anche per Anna,  i problemi di salute ci accomunano, in questa esperienza), dire che l’impatto è duro sarebbe troppo; ma senza dubbio un impatto c’è. Nello stesso tempo la voce della fune d’oro dentro di me mi ricorda che quasi sempre, all’inizio di un viaggio, molti dettagli che all’ inizio sembrano ostili  dopo poche ore profumano di aria di casa. Kakuta San fa comparire dal suo cilindro magico un bollitore, bicchieri di plastica, un impiegato vorrebbe aprirmi le docce già alle tre del pomeriggio, ma gli dico che non è necessario. So che a sera tutto diventerà casa. Uchi ni imasu.



Nel pomeriggio ci aspettano Roppongi San, shibuchoo della nostra sezione del Nono Shibu, e la moglie. Sono contenta di rivederli e di poter mostrare ad Anna la loro deliziosa casa con una stanza bellissima tutta dedicata all’altare degli antenati. Il quartiere di Asakusa in cui si trova nulla ha a che fare con la moderna Tokyo: tutte casette con minuscoli giardini, piccoli negozi, in una piazzetta il delizioso museo dedicato allo poetessa Higuchi Ichiyo (ringrazio Roppongi San per avercelo fatto scoprire lo scorso agosto!).  


Ls poetessa Higuchi Ichiyo (ritratto esposto  all'Ichiyo Memorial Museum). Il volto di Ichiyo dal 2004 appare sulle banconote da 5000 yen . 
Il giorno successivo ritroviamo Roppongi San per recarci al cimitero di Tama (Tama bochi,  il più grande cimitero del Giappone) a rendere omaggio alla tomba del co-fondatore del Reiyukai (con Kimi Kotani),  Kubo Kakutaroo. Un momento toccante e formale e un gesto di grande gentilezza nei confronti di noi ospiti. Dopo un ottimo pranzo, il pomeriggio prevede un programma di tutt’altro tipo: la visita al Museo Ghibli  (uno dei più visitati della città) creato dal regista di cartoni animati Miyazaki Hayao.  


Tama bochi
Al Museo Ghibli non si entra senza prenotazione...

... e bisogna prenotare mesi prima!
Essendo questa stata una mia richiesta (sono rimasta affascinata dalle creazioni di Miyazaki dopo aver visto La Città Incantata, pura poesia sotto forma di cartone animato), quando mi rendo conto del contrasto tra la formalità del mattino e la leggerezza del pomeriggio, avverto un lungo momento d’imbarazzo ( e Anna ride, ride come non l’ho mai vista ridere): praticamente sto obbligando l’austero Signor Roppongi (e tutta la delegazione) ad entrare nel regno della fantasia, un posto per bambini e adulti bambini! Ma per fortuna tutti sorridono e mi assicurano che anche per loro sarà interessante scoprire un luogo di Tokyo  famoso che nessuno di loro aveva mai visto. La gentilezza e il garbo dei membri del Reiyukai sono il leitmotiv che accompagnerà  ogni momento della nostra settimana, e sarà  particolarmente gradita durante il weekend al Monte Miroku: evento centrale di queste giornate, impegnativo (per noi occidentali) un po’ per la distanza da Tokyo e soprattutto perché comporta una completa immersione nel cuore della cultura e nel Reiyukai così come è vissuto in Giappone.


La pagoda al Mirokusan
Non inviterei chiunque a condividere l’esperienza al Monte Miroku, che richiede un minimo di adattamento, di arrendevolezza interiore nel lasciar andare i propri schemi europei riguardo alla convivenza in spazi comuni, ai modi dell’ospitalità, al cibo , al fatto di dormire in 27 sui materassini adagiati sul tatami nella stessa grande stanza; e richiede altresì pazienza e respiro nell’ascoltare ore di testimonianze attraverso una traduzione che a tratti si perde (il tempo di concentrazione è tantissimo anche per l’interprete che ci segue il sabato e la domenica e ci fa anche da sostegno e da guida per impedirci di commettere i classici errori da italiani all’estero in una comunità quasi perfetta, scandita da regole  e orari precisi). Ciò che rende tutto fluido e quasi semplice è, come già accennato, la gentilezza spontanea, la pazienza, la disponibilità ad accogliere i nostri goffi errori senza giudizio, il sorriso sempre pronto, luminoso, confortante. Senza dubbio non è il nostro mondo, non potremmo, noi italiani, vivere costantemente con questo tempo perfettamente scandito, in questa fetta di mondo perfetta; ma per questo sabato e questa domenica anche questo luogo è diventato casa. Anche qui sento “uchi ni imasu” e dico “grazie, grazie di cuore per la vostra pazienza,  domo arigatoo gozaimashita”. Qui  più che mai è molto chiaro il significato della parola reiyukai: associazione per l’amicizia spirituale.




Durante i seminari, ciò che mi colpisce è l’energia dei giovani oratori, la loro passione, la loro determinazione a migliorare la loro vita, a seguire esempi positivi. Ogni loro parola nasce dal centro dell’addome, come se stessero recitando il sutra, da cui traggono quotidianamente forza. Mi colpisce la loro capacità di adattarsi umilmente e sorridenti a ruoli diversi. camerieri, lavapiatti, facilitatori ed accompagnatori, portieri, oratori. Bravi, davvero bravi. Traducono in azione quotidiana lo spirito del sutra, come dev’essere. Quanta maturità nella loro giovinezza, nei loro abiti sobri. E poi li vedo, dopo che il ristorante è stato pulito, giocare, gridare allegri, fare foto buffe come i più spensierati ragazzi del mondo, felici di divertirsi. E’ un piacere, sono quasi commossa. Forse il mondo è già salvo, perché la Terra, nel suo adattamento climatico di difesa e riadattamento ai nostri veleni, non potrà inghiottire uomini e donne così, no. Farà di tutto per salvarli così come loro, semplicemente tenendo pulito il loro cuore, stanno salvando lei.
Quest’anno la salute m’impedisce di partecipare alla processione che lungo la scalinata bianca conduce ai piedi del mausoleo dedicato a Kimi Kotani. Raggiungo il tempio superiore nel pulmino con Anna e Teiko.


Il Budda Mayatraya nella grande pagoda. 
L’attimo culminante delle due giornate è l’accesso al cortile interno in cui svetta la grande pagoda, visibile  solo parzialmente fino a quando non si varca la soglia che la rivela in tutta la sua elegante maestosità. Siamo tra le ultime della fila. Ci viene concesso di fermarci più a lungo dell’anno scorso davanti alla vetrata dietro a cui lo spazio è dominato dall’imponente statua del Budda Mayatraya, quello che tutti possiamo  diventare, il Budda dentro di noi. Che espressione aveva Mayatraya quando lo hai guardato?, ci chiedono. Una serena severità, un’austera calma.  Lo sguardo che vedi in lui è quello che tu hai verso di te.





Nel cuore dello Shakaden a Tokyo ci aspetta un  altro  momento importante: l’apertura della grande statua dorata del  Budda storico, Shakamuni, un onore nei confronti di noi ospiti di cui forse, imbevute della nostra cultura, non ci rendiamo conto appieno. E’ il Signor Roppongi a guidare la recita del sutra durante la cerimonia. E qui ci accoglie il saluto della Signora Murata, shibuchoo del Nono Shibu.
Prima del pranzo seguono le foto di rito davanti alla grande bocca dello Shakaden:   struttura moderna dalla bellezza inquietante, simile ad  un drago dormiente pieno di segreti, enorme eppure nello stesso tempo perfettamente nascosto tra i grattacieli  a pochi passi dalla Tokyo Tower. Nel pomeriggio l’ultimo momento ufficiale, e stavolta le protagoniste siamo noi, Anna ed io: è il momento del feedback finale attorno al tavolo con la Signora Murata, Teiko, i coniugi Roppongi, Kakuta San e il nostro traduttore..
Sia Anna che io diciamo apertamente tutte le nostre impressioni, sperando che nessuna delle nostre parole possa offendere in alcun modo i nostri ospiti.


Due passi in kimono al Kaminarimon


Nel tempo che resta cerco di mostrare ad Anna il poco che conosco della città.
In compagnia del Signor Kakuta siamo state al Kaminarimon e ai giardini imperiali. Io la accompagno al Tempio  Zojoji, in cui una parte dell’ampio cortile è occupato dal toccante e coloratissimo cimitero dei bimbi nati morti. 


Cappellini colorati e fiori per le tombe dei bimbi nati morti

Proseguendo poi attraverso un parco attiguo attraversiamo un boschetto da fiaba, tutto illuminato con piccole luci dorate, per arrivare infine alla Tokyo Tower.  


Alberi d'oro al The Prince

Tokyo Tower

Un altro luogo, scoperto l’anno scorso grazie a Lorenzo, è l’area di Roppongi Hills, anche questo facilmente raggiungibile a piedi dallo Shakaden. Arriviamo all’imbrunire e l’elegante via principale è in festa: bancarelle e una folla di uomini e donne in kimono. E’ un bagno nei colori, nella seta, nelle luci, che culmina al cinquantaduesimo piano del grattacielo di Roppongi: 

Atmosfera di festa a Roppongi Hills






Danze e karaoke in kimono
La Tokyo Tower vista dall'altro di Roppongi Hills
Il panorama dalla vetrata è semplicemente fiabesco. Anna è felice ed io lo sono per lei. Ai piedi del palazzo, due passi più in là dalla festa karaoke di kimoni che danzano e cantano, ci sdraiamo sull’erba immerse nella pace di un piccolo parco. Davanti a noi un grande albero sovrastante un minuscolo laghetto e un tavolino a cui siedono due ragazze in kimono, ridendo e scherzando coi loro cellulari in mano, in uno splendido quadro in cui antico e moderno si fondono in un unico bellissimo cuore.




(Testo di Enea Grosso per "Inner Trip"; foto di Enea Grosso e Anna Arietti)


Giardini Imperiali dopo la pioggia (foto di A. Arietti)
P.S.:  "shibuchoo" significa letteralmente "capo di shibu"; gli "shibu" sono i vari gruppi che compongono il Reiyukai e noi eravamo ospiti del Nono Shibu, presieduto a livelli diversi dal Signor Roppongi e dalla Signora Murata. 
"San" = Signor, Signora
"Uchi ni imasu" = sono a casa, mi sento a casa
"Doomo arigatoo gozaimashita" = il grado più onorifico per dire "grazie".

Asakusa 

http://reiyukaiglobal.org/

lunedì 16 settembre 2019

Picnic al cimitero


Quello che vedo da lontano, passeggiando lungo il viale in compagnia di uno stormo di oche Facciabianca, pare un muro qualunque, infinito, in pietra, alto quanto basta per negare la veduta oltre. Un limite che rimuovo al primo cancello, afferrandone la maniglia. Ed è un fruscio creato ad arte quello che sento, un richiamo. Non so cosa mi aspetti. Lo inseguo fra i cespugli. Sento che sarà un esseruccio dallo sguardo vispo. Ed eccolo. Appartiene a uno scoiattolo dagli occhi e orecchie grandi. Fugge via, ma non mi teme, mi dà tempo per non smarrirmi. Lo sento interessato a scroccarmi qualcosa di goloso. Gli scatto fotografie e lo lascio sul ramo a mordicchiare un seme che trattiene con le zampe anteriori. Lui mi guarda borioso come se avesse assolto a un compito. È una sensazione che non comprendo.

domenica 15 settembre 2019

Rosari

Tokyo, Zojojii. Foto di Anna Arietti
Quest'estate solo un lento
sgranare di rosari
Misteri dolorosi 
non ci sono
E' come camminare
a piedi nudi
sulla luce  aguzza
delle stelle. 
(Enea Grosso)


A summer spent
telling in silence
my beads
There are no
painful mysteries
It's just somehow
like walking
barefoot
on the sharp
keen light
of the stars.

(Enea Grosso)