lunedì 3 aprile 2017

La Pezzata rossa d'Oropa


Con la pezzata rossa d’Oropa si sopravvive, per ora. Le potenzialità per fare meglio però ci sono, vanno sviluppate, credendoci. A fare il punto sull’allevamento della razza autoctona, definita anche “razzetta” in quanto allevata su un territorio circoscritto qual è il Biellese, è Francesco Barberis, 69 anni, di Cerrione, vice presidente di Arap, l’Associazione regionale allevatori del Piemonte.

“Attualmente si contano circa ottomila capi - spiega -. Le vacche iscritte nel registro anagrafico delle popolazioni bovine autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione, tenuto dall’Associazione italiana allevatori, dovrebbero essere quattromila e altrettante sono le manze. Ce ne sono poi di selvatiche o meticce, senza riconoscimento. La presenza si concentra nella zona intorno a Biella e in Valle Elvo. È però un allevare gramo, che fa tribolare, del resto è una razza rustica, adatta alla zona pedemontana, che va preservata per tutelare il territorio sotto il profilo ambientale. Senza queste vacche che tengono puliti i pascoli, anche quelli più magri con i rovi, e senza i loro pastori, che sistemano le zolle, che diventerebbero scoli, i danni procurati dai cinghiali, il paesaggio biellese ne soffrirebbe”.

L’economia però, per puntare ai numeri, deve contare sulla qualità degli allevamenti e dei prodotti che arrivano in tavola. In questi termini il Biellese c’è, ma si rivolge perlopiù al consumatore attento, alla nicchia. Crescere significa sanare lacune e impegnarsi di più, passaggio che ad alcuni giovani, non tutti, a volte manca; più propensi a tenere il telefonino fra le mani invece di sporcarsele.

“Va approfondito un discorso tecnico che nel Biellese non esiste. Essendo originario del cuneese, ho vissuto la realtà dei Club 3P, produrre, provare, progredire, sorti negli anni Sessanta. Nel tempo l’assistenza tecnica e gestionale fornita agli agricoltori si è evoluta in negativo un po’ ovunque, nel senso che si è ridotta ai minimi termini, come pure la scarsa attenzione, per non dire inesistente, da parte delle istituzioni. Tutto ciò ha fatto sì che il settore primario abbia perso buona parte del suo valore, soprattutto a Biella, città che ha potuto attingere ad altre risorse, come il tessile, e di fatto non è mai partito. È un comparto che invece ha molto da offrire. Serve fare cultura, incontrarsi e confrontarsi. Serve preparazione alle persone e manutenzioni negli alpeggi e alle strade per arrivarci. In provincia di Cuneo e in Val d’Aosta sono stati fatti interventi giusti, qui da noi invece ci sono ancora strutture senza corrente elettrica e senz’acqua”.


Conosciuto dagli allevatori come “premio al pascolo o all’erba” inserito nel Programma di sviluppo rurale della regione Piemonte, qual è la sua rilevanza?

“I premi, anche provenienti da fondi europei, sono almeno due o tre e se vogliamo un mano la danno; sono aiuti, ma come al solito la burocrazia strozza. Diciamo che se non ci fossero i premi, resistere sarebbe dura come il ferro, così si fa la trafila per ottenerli. Anche se la pezzata rossa d’Oropa è considerata rara, ma non in via di estinzione, alla fine la si tutela; si protegge la biodiversità. La questione è che con il premio si sopravvive, ma non si migliora. Si parla di cinquecento allevatori e quelli che producono formaggio e carne lavorano bene. Però si potrebbe fare ancora meglio, sempre facendo riferimento a tempi e metodi naturali, ma ragionati, come creare un centro tori per la selezione. Il ‘si è sempre fatto così’ non è l’unica via percorribile. Le stalle ad esempio vanno areate, affinché siano sane. Anche solo su questo si è discusso a lungo per vincerla sulla tradizione, che le vedeva chiuse e piene di muffe. Serve poi più attenzione da parte delle istituzioni, invece di sprecare denaro per realizzare rotonde dove non passa neppure un gatto”.

I margini di miglioramento ci sono; si deve imparare a collaborare, a intraprendere percorsi di formazione in stalla affiancati da tecnici. A fare tutto come “na vira”, una volta, continuando a guardare alle “corna belle” e ai campanacci da esposizione più che al benessere dell’animale, non si va lontano. Come dice Barberis: “La guerra non si vince da soli, bisogna aggregarsi, e non è un lavoro che si risolve in un inverno, ma si fa nel corso di una vita. Il punto è che per arrivare si deve partire”.

Anna Arietti
(testo e immagini)




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